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La spirale di luce

(o giardino dell’avvento) di Gisela Stibill

Nel 1959 Gisela Stibill all’inizio dell’Avvento conobbe il giardino dell’avvento nell’asilo antroposofico “Sonnenhaus” (“casa del sole”, di Husum – era più una famiglia con tanti bambini che un asilo).

Qui racconta la storia e descrive l’archetipo di questa consuetudine.

Nel 1947 Gertrud Meinke portò questa piccola festa luminosa al Sonnenhaus, che lei stessa fondò, dal “Lauenstein”, il primo istituto di pedagogia curativa, dove lavorò per lunghi anni presso Heinrich e Margarete Hardt come Gruppenmutter. Mi raccontò delle sue esperienze, quando i bambini gravemente handicappati camminavano nella spirale e vedevano lo spazio scuro divenire sempre più chiaro grazie alle candele accese. Chiesi a Margarete Hardt, nonna dei miei figli come si è giunti a questa usanza. Sorella Inge, disse, una collaboratrice del “Lauenstein”, le aveva parlato dell’idea di aprire l’avvento dei bambini con un’importante esperienza di luce. Aveva pensato quindi di mettere su un grosso tavolo una spirale di verde di abete e muschio, decorarla di pietre preziose e sistemare una grande candela al centro, alla quale i bambini avrebbero potuto accendere una candela. Voleva infilare le candele nelle mele e dare una mela in mano a ogni bambino.

Nel 1923 Margarete Hardt portò questa idea a Dornach al seminario di Natale della Società pntroposofica e la presentò ct Rudolf Steiner. A ogni pausa ci disponevamo tutti in cerchio intorno a lui, tutti avevamo molte domande pratiche. Steiner rispose “Possiamo provare”, consigliò però, di far sperimentare l’evento ei bambini con tutto il corpo e disegnare la spirale sul pavimento, di grandi dimensioni e percorribile.

Da allora con questa piccola e intima festa, il giardino dell’avvento, si festeggia con i bambini l’inizio dell’avvento, in numerosi istituti di pedagogia curativa, giardini d’infanzia e scuole Waldorf.

Nel 1927 Gusti Wretzl lo portò da un istituto di Monaco, nel quale lavorava, al “Sonnenhof” di Arlesheim. Questa, che inseguo da tempo, è un’usanza contadina della zona di Monaco. Ma né lì, diceva la direttrice del Volkskundemuseum né in altra regione della Germania questa usanza è conosciuta. Con questa festa si conclude l’autunno, il tempo di Michele, e si apre una festa che è indicata come importante e come un giro del canone delle feste dell’anno: Natale – tempo di Giovanni, Pasqua – tempo di Michele, Pentecoste- giardino d’avvento.

Con la Pentecoste, Cristo, luce del nostro centro, dona la luce ai discepoli che la portano nel mondo, in cui essa diventa via sempre più chiara.

Con il giardino dell’avvento, il contrario: solo io stesso, solo ogni uomo per se, può accendere la sua luce alla luce di Cristo, alla luce del nostro centro e così il mondo diventa sempre più luminoso. San Michele, la forza dello spirito e colui che infonde coraggio, difende il corpo dal pericolo, San Martino, che dispensa forza dalla sua anima, scalda il corpo e l’anima, San Nicola rafforza il corpo e l’anima, porta i dolcetti della “vita” (in ted. Leb(ens)Kuchen), rinvigorisce le forze vitali e,

così rafforzati, noi possiamo farci strada da soli nel giardino dell’avvento, rinvigorire nel giorno di Cristo la nostra luce presso il bambino del presepe, tornare nuovamente a brillare.

Il bambino nel presepe con la sua venuta ha vinto la forza del peccato della mela, del peccato originale, grazie alla luce, alla forza della luce che irradia dal vero amore. Questo è quanto sta dietro al giardino dell’avvento con la sua mela di luce.

La spirale, archetipo di tutti i processi vitali.

Scegliere per il giardino dell’avvento la forma della spirale, è scontato, perché essa è l’archetipo di tutti i processi vitali. I francesi la chiamano infatti “Symbole de la croissance”. Stretto e ampio, inverno ed estate, inspirare ed espirare, dentro e fuori – tutti questi processi vanno in continuo movimento davanti a se, fino a che hanno raggiunto il punto in cui per un momento si arriva alla pace. Dopo di che si inizia a percorrere la stessa via all’indietro.

La via stretta, verso me stesso, dove per un attimo trovo pace, poi il ritorno, ampio, nel mondo. Anche in natura troviamo diversi tipi di spirale, per esempio nelle casette delle lumache, nella disposizione dei semi nel cuore del girasole, nella struttura di una pigna d’abete, nella felce che si spiega o nell’onda che si frange sulla terra. Nelle diverse culture e religioni e in tutti i tempi, la spirale è una via all’iniziazione. Nell’era precristiana la spirale veniva danzata o ballata all’interno in occasione della nascita e all’esterno in occasione della morte. La troviamo già sui nastri ornamentali celti, sui nastri ornamentali dei vasi greci, sui capitelli delle colonne (foto p), sui tetti delle chiese e sulle mura di monasteri e presso antichi luoghi di iniziazione come New Grange. Incontriamo questa forma di architettura nella spirale aurea (foto c) che articola molte costruzioni in modo sorprendenti secondo leggi musicali, lasciando che abbia su di noi un’azione armonica. Christoph Schlingensief non a caso la scelse come pianta del suo progetto per I’Operndorf in Africa. Anche il labirinto alla base della cattedrale di Chartres è una spirale. Per tutti i bambini del mondo la spirale è una delle prime forme di disegno – frutto di impulsi bilanciati ed equilibrati. Il bambino in movimento danza infatti sempre su se stesso, gira a spirale attorno a un centro, che è egli stesso. Con l’età queste curve diventano sempre più larghe, più aperte, più grandi, includono il percorso inverso, si sviluppano come strada di vita. Esse però ritornano sempre -noi torniamo – al centro, per iniziare e proseguire, dopo un momento di raccoglimento, la strada verso l’esterno e lontano, con una nuova luce, con forza nuova. Con l’età ha luogo l’inversione, il ritorno – o non dovremmo forse dire un nuovo raccoglimento? Perché ci meravigliamo del fatto che i bambini vanno incontro alla spirale dell’avvento, al giardino dell’avvento con nostalgia? Non potrebbe essere che essi si aspettano, desiderano qualcosa di intimo, verso il quale possono rinfrescare il ricordo di un eterno?

Il giardino dell’Avvento

Qui di seguito sarà descritto come la festa d’Avvento viene vissuta negli istituti di pedagogia curativa del movimento antroposofico da ben oltre 50 anni.

E’ il pomeriggio della prima domenica di avvento, fuori comincia il crepuscolo. Una grossa e bella candela sta, leggermente sollevata, al centro di uno spazio ricoperto di rami d’abete e muschio. Alla candela porta una strada tracciata a forma di spirale, come un sentiero nel sottobosco o in un bosco di latifoglie. Nel muschio su entrambi i lati del sentiero sono nascosti vari tipi di “preziosità”, radici d’albero dalla forma rara, sterpaglie con semi, come si possono trovare nei boschi in autunno, le ultime fioriture, luminose pietre e cristalli e tanto altro… ma tutto è ancora nascosto e si percepisce appena nel raggio misterioso della luce che arriva dal centro.

Lì dove comincia la strada, all’entrata della spirale, stanno nascoste delle mele rosse, nelle quali è stata infilata una candelina dell’Albero, infilata sopra, nella fioritura e sul lato un bastoncino di abete. Queste mele aspettano lì, in qualche modo, le mani dei bambini, che le accoglieranno, e accenderanno la loro luce alla grande candela centrale.

Intorno al giardino di muschio ci sono sedie e banchi per i bambini e i loro accompagnatori, che saranno lentamente condotti nello spazio scuro, quando tutto sarà pronto.

Quando tutti i partecipanti, bambini e adulti, avranno trovato il loro posto, ai bambini sarà raccontata una storia. Questa ci porterà più vicini a ciò che il momento iniziale di oscurità suscita l’attesa del Natale; dalla cacciata del Paradiso, dallq via oscura, che gli uomini devono percorrere sulla terra ma che conduce alla luce.

A questo punto un bambino dopo l’altro può prendere in mano una mela di quelle che stanno all’inizio della percorso verso la grande candela e con cura portarla lì e accendere la candelina nella mela.

Quindi con cautela e facendo attenzione che nulla si spenga, la sua piccola luce viene nuovamente portata fuori dal centro e “piantata” nel giardino di muschio in un punto scelto dal bambino stesso.

Per tutto il tempo i bambini e gli accompagnatori cantano in cerchio canzoni d’avvento, oppure in alternativa si potranno ascoltare musiche prenatalizie, cosicché il tutto possa essere avvolto in un’atmosfera armoniosa e calma e un po’ festosa.

Gradualmente il giardino di muschio diventa sempre più luminoso e le “preziosità” vengono alla luce: qui un cristallo, lì una pietra pesante, una bella rosa canina con foglie belle colorate e frutti rossi e molto altro.

Infine lo spazio diventa gradualmente luminoso, si riconosceranno molte cose ma alla luce delle candele sembreranno diverse, più morbide, senza le linee dure che avrebbero altrimenti intorno a noi.

Alcune parole conclusive chiudono la festa.

Poi i bambini tornano fuori con calma e lasciano il giardino di muschio e la sua magia dietro di loro.

Lo spegnimento delle candele e la sistemazione dovrebbe avvenire senza bambini.

Naturalmente gli accompagnatori presenti aiuteranno a fare in modo che tutto possa procedere senza “incidenti” (rovesciamenti o spegnimenti delle candele, per esempio), ma è essenzialmente importante che il bambino stesso trovi la via e la percorra da solo.

Vedere come i bambini piccoli e quelli più in difficoltà ci riescono, con quale dignità e serietà interiore si avvicinano alla grande luce con la mela in mano, è sempre un’esperienza felice.

Il giardino dell’avvento ha origine da un’antica usanza popolare della zona contadina nel Bayern.

Da lì la portò una sorella che lavorava al “Sonnenhof” di Arlesheim agli inizi del movimento di pedagogia curativa e che lo allestì e festeggiò nel salotto con i suoi bambini.

Questa è l’origine della festa d’avvento che oggi ritroviamo in tutti gli istituti antroposofici di pedagogia curativa, nei giardini d’infanzia, in molteplici scuole Steiner e in tutti i contesti cristiani.

Essa ha subito naturalmente alcuni cambiamenti e ampliamenti, tuttavia la forma più semplice che qui si è cercato di descrivere rappresenta per la sua modestia e sobrietà la più adeguata (da un articolo di J. Wallerstein).